Passo dopo passo la storia del piccolo Mattia

Le emozioni, i pensieri di Mamma e Papà attraverso l’esperienza di cura dei nostri professionisti

"Mattia è stato un sogno diventato realtà!"

Questo il messaggio di ringraziamento pervenuto, attraverso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico, all’Ufficio Stampa del Policlinico Umberto I da parte di Mariaida e Dario, i genitori di Mattia.

La mamma racconta che a causa di una  alloimmunizzazione materno-fetale non credeva che il sogno di tenere tra le braccia il suo bambino si sarebbe mai realizzato, ma soprattutto pensava che il piccolo Mattia sarebbe  semplicemente sopravvissuto,invece adesso può “VIVERE” pienamente la propria vita.

Tutto questo è stato possibile grazie ai “tre angeli, – come li definisce Mariaida – Serelina Coluzzi, Paola Galoppi e Daniela Regoli” dello staff medico, nonché del direttore della UOC di Ostetricia, Roberto Brunelli che sono stati al suo fianco supportandola e assistendola durante tutto l’arco di tempo della terapia immunoglobulinica.

 

Che cos'è l'alloimmunizzazione materno-fetale?

Da questa storia nasce l’esigenza di far conoscere tale patologia.
“La condizione della mamma di Mattia è una patologia di assoluto rilievo è stato un cimento importante della gravidanza perché si trattava di quella che è definita tecnicamente alloimmunizzazione materno fetale”, spiega il direttore Roberto Brunelli.
“Con tale termine s’intende indicare l’incompatibilità relativa al gruppo sanguigno: la paziente appartiene, infatti, a un gruppo sanguigno RH negativo e ha concepito un feto RH positivo. Ciò è giustificabile poiché, in gravidanza, si assiste a un trasferimento di cellule fetali, dal feto alla madre.Nei casi di incompatibilità simili a quello menzionato – in cui una madre è RH negativa e riceve cellule fetali in RH positivo – si sviluppa un processo immunologico, dunque, una sensibilizzazione. Nel corso di una successiva gravidanza, questa sensibilizzazione crea il presupposto per cui – se il bambino successivo è nuovamente RH positivo – nel sangue della madre ci siano degli anticorpi diretti contro i globuli rossi RH positivi del bambino.In sintesi si potrebbe dire che: una donna RH negativa che ha una gravidanza sensibilizzante con un feto RH positivo, successivamente al parto, mantiene memoria immunologica della reazione contro questi ultimi, così che, nell’eventualità di una nuova gravidanza, sviluppa una risposta immune molto più potente perché ha memoria di quanto avvenuto nella gravidanza precedente”, conclude il direttore.

"Quali erano le condizioni della sua paziente?"

 

Il caso della signora era una condizione di estrema severità.

Questa condizione di estrema severità era stata testimoniata dal test di Coombs, ovvero il test che monitora la presenza nel sangue di anticorpi anti RH positivo e l’entità del titolo. Il titolo è il numero che accompagna la positività del test, il cui test può essere negativo o positivo. Laddove il test è positivo è affiancato da un numero; tanto più il numero è alto, tanto più la risposta immunologica è importante. Partire da un numero di 32.000 è un titolo molto alto perché vuol dire che nel sangue della signora c’era una massiccia quantità di anticorpi; questi anticorpi, purtroppo, appartengono a una tipologia di anticorpi aventi la capacità di attraversare la placenta e di poter aggredire il feto.

Il pregio dell’identificazione di una problematica biologica importantissima e dell’approccio multidisciplinare è stato quello di inseguire una immunizzazione massiccia con implicazioni potenzialmente destruenti per il nuovo bambino in epoca precocissima di gravidanza.

La strategia di intervento è consistita nel capire quale fosse l’obiettivo, in base alla possibilità di spegnere la reazione immune. La risposta però non è stata positiva: la signora ormai è sensibilizzata.

"Su cosa è stato possibile intervenire?"

E’ stato possibile intervenire unicamente sul tasso di trasferimento degli anticorpi diretti alla placenta e contro il bambino. Ciò si ottiene con un approccio combinato realizzato mettendo insieme: 

  • la procedura aferetica, ovvero l’equivalente di un lavaggio del sangue. L’idea è che, attraverso una macchina, il sangue venga depurato dalle diverse sostanze presenti al suo interno. Tra le possibili sostanze si trova anche l’anticorpo prodotto e implicato nel processo patologico oggetto di discussione.
  • L’altra è una strategia biologica più fine, perché riguarda quella che si trova all’interno della placenta, il tentativo è quello di ingannare il trasportatore, dando in eccesso, una  sostanza innocua con struttura molecolare analoga a quella dell’anticorpo patologico.
    Nel fare questo trasferimento lo spazio disponibile per trasferire la sostanza patologica si riduce. 

 

Quindi, partendo da una condizione biologica estremamente severa, il rischio era quello di perdere il bambino a causa di una condizione che si chiama eritroblasti fetale, una anemia severa.

"Qual è stato il vostro impegno per questo caso?"

Il nostro impegno è  riscontrabile nel trattamento e monitorare per constatarne l’efficacia. Quanto detto ha consentito di arrivare da 32.000 ATV alla 25° settimana a 2048 e poi 1024 verso la fine del trattamento. 

E’ stato senza dubbio un lavoro di squadra. Non è da sottovalutare il ruolo dei farmacisti disponibile e di centrale importanza vista la supplementazione di immunoglobulina. Inoltre, c’è stato anche un impegno economico da parte della paziente non indifferente. 

Probabilmente quanto accaduto è riconducibile a una costituzione genetica propensa a questo tipo di iper-reazione -vista la rarità con cui si riscontrano casi simili -.Probabilmente lei ha un sottotipo di istocompatibilità per cui la reazione è esplosa in maniera così violenta. E’ evidente che, a questo punto, una nuova gravidanza sarebbe un disastro, perché l’organismo è talmente pronto che risponderebbe ancora con una violenza più alta.

La medicina materno fetale è importante ma non basta: ci vuole un centro di aferesi che è disponibile a fare queste procedure in modo cos’ approfondito e specifico.

"E Lei, Signora, come ha vissuto quest'esperienza?"

E’ stato un misto di paura e speranza. Ringrazio l’intera équipe medica, che non mi ha lasciato neanche un secondo e si è presa cura di Mattia fino alla fine, trattando la malattia con una sensibilità e un’umanità unica.

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